Il mio incontro col teatro di Patrick Marber risale al 2003, quando misi in scena il suo pluripremiato Closer al teatro Colosseo di Roma, in uno spettacolo finalista ai Premi Ubu come Miglior Novità Straniera. Il teatro di Marber – che in quella lontana prima romana ebbi la fortuna di conoscere personalmente – si inscrive in quella tradizione che, partendo da autori come Harold Pinter e John Osborne, attraversa le drammaturgie di Martin Crimp, Sarah Kane e, oltre oceano, di Edward Albee, David Mamet e Sam Shepard. Un teatro relazionale che, tra classicità e innovazione, tende ad esplorare e a dissezionare i rapporti e i valori decaduti della civiltà occidentale.
The Red Lion, nella nostra versione curata da Andrej Longo – autore di vari romanzi pubblicati da Adelphi, profondo conoscitore del linguaggio e dell’ethos napoletano – analizza con ironia e spietatezza il mondo del calcio dilettantistico. Un mondo pieno di contraddizioni e ambizioni, illuminato/oscurato dalla chimera delle giovani promesse di essere scoperte da qualche talent scout per essere lanciate nel paradiso della serie A. Ma, dietro apparenze e belle speranze, Marber disvela, nel suo testo, il lato oscuro del calcio.
The Red Lion (lontanamente ispirato all’esperienza diretta di Marber con una squadra di provincia inglese, che il drammaturgo ha contribuito a salvare dalla bancarotta tramite l’azionariato popolare), mette in campo tre protagonisti: una giovane promessa del calcio, l’allenatore e l’anziano factotum della piccola squadra di provincia che, come spettri Shakespeariani intorno al ragazzo, cercano di trarre profitto dalle sue capacità. Nel rapporto fra i tre personaggi l’opera di Marber si rivela nella sua complessità: The Red Lion non è solo un testo che parla di calcio ma anche una riflessione amara e profonda sulla lealtà e il senso di appartenenza. Il lirismo di certi passaggi contrasta con il linguaggio a tratti violento e con l’avidità e la mediocrità che aleggia nello spogliatoio dove si svolge l’intera pièce. Ancora una volta, la drammaturgia contemporanea di Marber ci invita, attraverso un argomento cross-generazionale e di forte ricezione, a riflettere sulla perdita di valori. Se nel calcio la corsa ai guadagni iperbolici ha contribuito a far mettere da parte a
dirigenti, calciatori e agenti il senso profondo e a volte quasi eroico, dello sport, questo senso di perdita riguarda tanti altri contesti del contemporaneo. Nel nostro sistema a capitalismo avanzato,
i concetti di bellezza/levigatezza e di trasparenza/positività, così ben messi a fuoco dal filosofo Byung Chul-Han, sembrano aver ormai avuto la meglio sui concetti di responsabilità, approfondimento e conoscenza, sempre più difficili da perseguire in una società dell’effimero e dell’istantaneo.
Ambientare la vicenda nella provincia campana mira a rendere più evidente l’universalità dei temi trattati da Marber, e ad annullare la distanza che, spesso, distorce la percezione e la lettura dei
testi anglosassoni. D’altra parte, Italia e Inghilterra, seppur con talune differenze, condividono una passione sfrenata per il calcio: The Red Lion è quindi un testo attuale, graffiante ma allo stesso
tempo poetico, che genera un forte senso di prossimità e di identificazione anche nello spettatore italiano. La messa in scena semplice, simbolica, punterà a valorizzare le performance attoriali di un
cast d’eccezione che include Nello Mascia e Andrea Renzi, interpreti tra i più apprezzati nel panorama italiano, per dar voce alle anime perse che, tra un calcio e l’altro, si confrontano e si scontrano nel logoro e affascinante backstage di un campetto malridotto della provincia italiana,
incarnando amaramente sogni e sconfitte di tutti noi.
Marcello Cotugno
